Note critiche

UN UOMO E LA SUA GRU
(o Le Gru di Bersani)

Satira politica. In questo filone, mai abbastanza (ben) praticato, si inserisce direttamente il lavoro di Bersani che sceglie la via del “panel” –la vignetta che esaurisce un argomento in un solo “quadro” ed in una battuta (con replica) fulminante- sul modello dei grandi vignettisti americani che ha trovato numerosi epigoni anche in Italia. Ma mi sembra che, confrontata con le colleghe, quest’opera abbia un qualcosa in più, un valore aggiunto che secondo me va rintracciata nel patrimonio culturale dell’autore, nella sua buona conoscenza del linguaggio fumettistico, di cui la vignetta autoconclusiva rappresenta l’estremizzazione. Del Fumetto, infatti, il panel conserva la struttura sequenziale –ovvero un legame tra i vari disegni- grazie alla iteratività del soggetto. La scelta di un modello grafico ripetitivo, che fa sì che il lettore regolare possa subito inserire il personaggio nel suo preciso contesto. Il disegno è solo apparentemente statico; in realtà la gru si agita, “starnazza” e si contorce sotto la carica emotiva del momento a sottolineare con la propria postura, di volta in volta: rabbia, disgusto, indignazione… In parole povere, “recita” la propria battuta… Quella che è statica, invece, è l’inquadratura, un campo lungo che consente alla gru di recitare con tutto il corpo. Uno scenario (che spesso è un non scenario, per non distrarre l’attenzione dalla battuta), volutamente ripetitivo, come già detto. In questa ottica il disegno è volutamente semplice, per non disperdere sulla grafica l’attenzione del lettore. Ma non troppo semplice, come testimoniano i tanti particolari speso presenti sullo sfondo, sempre ben riconoscibili e stilizzati. Il meccanismo con cui sono costruiti questi panel è quello classico del “botta e risposta”, per questo i protagonisti sono in realtà due, anche se la gru piccola (un nano?, un adolescente?) denuncia il suo ruolo di spalla con la sua minore importanza grafica. Il suo contrappunto, però, risulta spesso fondamentale, motivo per cui la sua battuta compare sovente in posizione centrale. Nei panel di Bersani la Grande carica l’arma e la Piccola spara il colpo. Non si può però non sottolineare l’arguzia con cui i temi della vita, non solo politica, di tutti i giorni vengono trattati con disincantato ed a volte feroce candore. Come non va taciuto il fatto che non si tratta di una satira di parte: tutti gli schieramenti vedono regolarmente messi alla berlina i propri atteggiamenti incongruenti, le proprie malefatte, incapacità e così via. Anche in questo l’opera si distingue dai “franchi tiratori” che vedono (per motivi di comodo?) tutto il male da una sola parte. Dovendo quindi cercare una parentela con l’opera di autori più famosi mi viene spontaneo il parallelo con quella di Ellekappa, che sfrutta un meccanismo simile ma che, a mio parere, è indubitabilmente più povera, sia per il disegno faticoso e spesso incomprensibile, sia per la tendenza “di parte” ricordata pocanzi. Dunque la Gru di Bersani sembra possedere tutti gli elementi per divenire, se non fenomeno di riferimento, almeno un gradevole appuntamento quotidiano. Auguriamoci che l’ispirazione lo sorregga ancora a lungo. Per concludere non mi resta che dire che quest’opera è ricca di buoni ingredienti: conoscenza del mezzo e dell’ambiente cui si rapporta e amore per il lavoro. Ora gustatevi la ricetta…                                       Franco Spiritelli/Spiri (giornalista).

Non fare lo struzzo potrebbe diventare una frase che cambia senso. Almeno per chi si divertirà a soffermarsi su queste “vignette” di Andrea Bersani.
“Divertirsi” non è esattamente il vocabolo appropriato, per la verità. Qui siamo di fronte, come sempre nella buona satira, ad un riso amaro, che ti si strozza in gola. Un riso che ti fa arrabbiare, che anzi, qualche volta, sembra far arrabbiare anche il nostro autore. Da un certo punto di vista, se la generazione che arrivava alla maturità negli anni Sessanta era quella che, secondo una celebre formula, “ricordava con rabbia”, quella che è giunta a maturare sullo spartiacque fra i due secoli con rabbia ride.
Forse è per questo che Andrea Bersani ha rovesciato la metafora dello struzzo. Non più l’animale che mette la testa sotto la sabbia, immagine di una società che rifiuta di vedere. La sua coppia di struzzi, uno adulto ed uno pulcino, secondo una iconografia che è tipica delle favole, hanno gli occhi ben aperti: e ad esasperare questa realtà c’è proprio il segno grafico che ha donato ai due uccelli dei begli occhioni sgranati.
La costruzione dell’immagine è classica e modernissima al tempo stesso. Classica in un certo modo di disporre le figure e gli sfondi: l’uccello grande e l’uccello piccolo che in gran parte delle vignette guardano in direzione opposte dandosi le spalle, o, più raramente, convergono al centro quasi in forma di balletto; poi un piccolo elemento, uno solo, sullo sfondo, a richiamare un elemento della battuta. Modernissima, per il tratto nervoso del segno, l’essenzialità della composizione, il rifiuto di ogni “abbellimento” che rendono tutto l’album una variazione eterna senza possibilità di “forare” i confini, quasi come il famoso gioco di virtuosismo di Paganini nella composizione per una corda sola.
In questo Bersani si discosta da una tradizione del vignettismo di satira politica oggi dominante: quella che ha un doppio perno, dividendosi fra la “caricatura” dei personaggi al potere (basti ricordare il famoso enorme Spadolini col suo piccolissimo “pisello” che rese famoso il primo Forattini, il “Prodi parroco” del Forattini più recente, o il Berlusconi piccoletto e con la bombetta di Giannelli), e la “rappresentazione” sarcastica di una “ministoria” (in cui è maestro il Bobo di Staino).
In queste vignette non ci sono uomini politici trasfigurati da una penna mordace, come non ci sono “storie”. Ci sono due uccelli filosofi, che sviluppano sempre uno stesso schema di ragionamento, quasi una satira del sillogismo: l’adulto espone una situazione, il pulcino la commenta, e la didascalia quasi trae le conclusioni “intitolando” la vicenda.
Le battute in questo contesto sono altrettanto essenziali del disegno e si può quasi affermare che vivano di vita propria. Sarebbe il caso di dire che si tratta di parole che sono pietre, talora autentici macigni. Lo stile è “lapidario” in molti sensi, e la scrittura a grandi caratteri, senza alcuna “grazia”.
Anche in questo vi è un segno generazionale forte, un rapporto aspro con la politica, che concede pochissimo, meglio sarebbe dire nulla, alle mediazioni, ai distinguo, alle analisi. Come il tratto di questi disegni, la realtà che Bersani si rappresenta è tutta in bianco e nero, a contrasti nitidissimi, senza sfumature.                                                 Si capisce subito che ci sono i buoni e i cattivi, anche se la scena è tutta per i secondi e i primi possono al massimo, come gli sconsolati struzzi, cantargliela chiara.                                                                                           Si potrebbe cavarsela con una battuta vecchio stile, del tipo “Questa è la satira politica bellezza!”.  Ma non è così, perché una nobile tradizione della “vecchia” satira politica era il suo fondo fortemente utopico, il suo essere intrisa di speranza che la messa a nudo della situazione inaccettabile, quantomeno contribuisse a far sorgere  il famoso “mondo migliore”.  Nella satira di Andrea Bersani questa dimensione, se c’è, rimane molto sullo sfondo. La filosofia dei suoi struzzi è quella dei delusi che non si aspettano gran che dalla loro denuncia. Per questo all’inizio si parlava di una rabbia che sfocia nel riso: la rabbia di contemplare un mondo in cui non ci si riconosce, ma da cui ci si può distaccare solo con una risata, amara e sconsolata al tempo stesso, che non risolve nulla, perché si è consapevoli, che tanto lì bisognerà continuare a vivere. Se non ci credete, andate ad analizzare le “titolazioni” delle vignette  e toccherete con mano la veridicità di queste affermazioni.
Lo studioso di politica non è felice nel registrare questo modo di pensare, ma sa anche troppo bene fino a che punto sia diffuso. Per certi versi è quasi l’altra faccia di certo adattamento pacioccone a un mondo che non funziona come dovrebbe, ma che, se ci si accontenta, fornisce a tutti quel po’ di anestetico che basta a sopportare quello che il poeta chiamava “il male di vivere”.
Non ci resta che sperare che un giorno anche gli struzzi di Andrea Bersani possano evadere dal loro pessimismo cosmico e riscoprire la risata come una attività liberatoria, capace non solo di mettere a nudo la menzogna, ma di ristabilire qualche verità. Insomma che torni ad essere quella risata che seppellisce le furberie dei “cattivi”.
Ma intanto, il percorso catartico richiesto alla politica nei difficili tempi di transizione come quelli in cui viviamo non può risparmiarsi anche la “satira amara” e le battute (a volte persino grevi) che sono quasi staffilate sulla nostra pelle viva del rabbioso sguardo sul mondo che Andrea Bersani esercita quasi come un laico breviario quotidiano. Paolo Pombeni (politologo).

Forse siamo arrivati al punto in cui per parlare delle cose che accadono bisogna essere efficaci senza ridondanze.
Il mondo che ci sta attorno ci offre migliaia di segnali e quindi bisogna essere bravi a far passare quelli giusti.
Andrea Bersani di questo ha  fatto, secondo me, quasi una regola, e ce lo comunica sia con la  grafica, scarna ed aspra, sia nei   contenuti che, essendo poi essi stessi grafici e complementari, si integrano perfettamente.
Le poche tracce degli argomenti base (la bandiera dell’America,la scarpa da ballo per il flamenco a proposito della Spagna, le lapidi padane di Bossi) che si collegano ai suoi animali (scarniti,essenziali e simbolici, un po’ come gli imperatori romani in epoca bizantina), comunicano attraverso una espressività forte; a sua volta sottolineata dalle parole, che in genere la chiudono.
Un po’ come nelle comiche degli anni 20, dove le morali erano dentro il contenuto delle scenette e il senso veniva detto, rafforzato, dalle frasi, che, non a caso, avevano anche un valore estetico, spesso ricercate anche nello stile d’insieme.
In questo senso è la sua, una vignetta molto grafica, che poco si ferma sulla ricerca della definizione del quadro: è tutto di getto; si concentra, invece, sulla forza dei contenuti e da poco spazio alla leziosità della caricatura,  della costruzione di una specie di rebus, come accade invece, in molti lavori di suoi colleghi.
Forse per mie caratteristiche fisiche, dove l’ espressione è sempre stata al centro del mio lavoro e dove la mimica ha avuto ed ha molta importanza, propendo per questo tipo di scelta stilistica. Dire e far dire a degli struzzi è già divertente in sé, in quanto sono animali che spesso si sottraggono alla vita esterna; che poi sia un dialogo da padre a figlio è anche più interessante, perché c’è un passaggio di informazioni per il futuro, una sorta di passaggio di consegna dei problemi e delle debolezze del presente, quasi astraendosi dai protagonisti reali per farli diventare simboli, limiti, suggerimenti per le generazioni a venire. Stefano Bicocchi/Vito (attore).

LE VOCI DEI TRAMPOLIERI

Per un narratore di fiabe, come per un disegnatore satirico, la scelta di esprimersi per bocca di un animale, non è mai un caso. Fra le tante “maschere” che la sua fantasia gli offre, l’autore sceglie di dissimularsi dietro una creatura che non appartiene al genere umano proprio nel momento in cui esprime la propria posizione morale contro l’immoralità dei suoi simili.
Leggendo le vignette di Andrea Bersani e la realtà che prendono di mira (soprattutto la situazione italiana e la politica degli USA di Bush), viene da pensare che l’orrore che ci circonda (e al quale ci siamo colpevolmente assuefatti), può essere guardato con ironia soltanto dalla prospettiva di una gru (o di uno struzzo).
Il presente italiano, in particolare, infettato da decenni di immondo berlusconismo, di miasmi postfascisti, di trogloditismo leghista, e non riscattato certo dall’inerzia e dall’opportunismo del centrosinistra, è talmente ripugnante, talmente degradato e obbrobrioso, talmente lontano da quella che è l’idea di un paese decentemente civile, che non può più essere l’oggetto della semplice derisione o dell’amaro sarcasmo di un essere umano. No, forse il punto di vista più appropriato può identificarsi, per una volta, con un animale nobile e leggero come una gru.
Bersani si è appunto sdoppiato in due uccelli, che ricordano la classica coppia dei clown – l’alto e il piccolo, l’ingenuo e l’astuto – ma che, a differenza degli augusti e dei clown bianchi, non si beffeggiano, non si scambiano dispetti, non attraversano in lungo e in largo la pista circense, ma rimangono immobili, stagliandosi su un orizzonte circolare e spoglio, che senz’altro si trova in qualche angolo dell’Italia.
Il segno dell’autore è essenziale e scarno, infittisce di tratti i contorni dei corpi e del piumaggio. Nel quadro delle vignette, a parte le figure delle due gru, fanno capolino pochi oggetti emblematici e derisori come “feticci” con cui talvolta giocherella la gru più alta che, a tratti, appare anche “travestita”, in esplicita allusione agli eventi della cronaca politica italiana o internazionale. Intanto, le capita di perdere qualche piuma. L’uccello più piccolo, invece, rimane perlopiù nella stessa posizione immobile, con gli occhi a mezz’asta. È amaro e scettico nel disincanto che esprime in poche, secche parole, dietro cui s’intravede la rabbia e lo sdegno dell’autore. È una rabbia che talvolta si esprime con grevità e che si sintetizza sempre nella lapidarietà del titolo campeggiante in fondo, come un’eco alla battuta della gru più piccola.
L’occhio dell’uccello più grande, è spesso spalancato e vitreo di stupore e sconcerto (ispiratigli, ovviamente, dalla cronaca). Le posture del suo corpo da trampoliere suggeriscono sempre un equilibrio instabile, che sembra corrispondere ad una precarietà che ci sottomette tutti. La gru piccola, invece, sta con entrambe le zampe abbassate sulla terra, come chi non si fida. Da quella terra e quindi da quella (questa) Italia, dove Bersani le ha immaginate, le due gru non riescono ad alzarsi mai (o forse non vogliono). Non fuggono e, ostinate, convertono il loro malumore negli strali di un sarcasmo irriducibile.             Roberto Chiesi (critico cinematografico).

Avere l’occasione di scrivere alcune righe su Andrea Bersani, un caro amico, è un piacere.
Nello stesso tempo, non è facile inquadrare il personaggio; quando, alcuni anni fa, lo conobbi, ebbi subito la sensazione fosse uno risoluto, dalle idee ben chiare (assomiglia, fra l’altro, al cantante dei Bee Gees), testardo, ma di quella testardaggine positiva che prima o poi ti fa arrivare, quasi sempre, dove vuoi.
Simpatico e dalla dialettica forbita, Andrea mi raccontò della grande sua passione per il disegno umoristico, ma anche delle notevoli difficoltà incontrate nel mondo dell’editoria nell’estenuante ricerca di qualcuno interessato al suo lavoro. Perchè in Italia di riviste umoristiche, purtroppo, oramai ben poche ce ne sono…
Il suo stile si avvale di una grafica graffiante e moderna. Molto originale.
Le sue vignette e le sue strips sono immediate e fulminanti, piene di critica ironia dalla quale traspare una notevole conoscenza della vita politica e sociale italiana e non.
I suoi personaggi, animali, umani o pupazzi surreali son pazzeschi, inimitabili!
Le sue battute sembrano attingere da un pozzo senza fondo, così come sono, una via l’altra. Una grande creatività.
Quando leggo le vignette di Andrea e una battuta veramente forte mi colpisce, mi dico:
accidenti! questa è bellissima, è la meglio di tutte. Poi volto pagina e zac. Eccone una ancora meglio, e un’altra e un’altra ancora!
Ci si perde in un orgia di risate.
(Quella di Mastella poi, una delle mie preferite).
Andrea è persona di carattere, come poche ce ne sono. Ha spirito di sacrificio e pazienza, molta pazienza. Ed io lo posso ben dire, datosi la mia quarantennale attività di fumettista. Attività piacevole e piena di soddisfazioni, ma anche faticosa ed impegnativa. Attività attraversata da periodi difficili dovuti ai cambiamenti di gusto nei lettori, quando il vero professionista deve sapersi adeguare dando sempre e comunque il massimo. Anzi, di più.
Quando ci ritroviamo io nel suo studio o lui nel mio, il discorso scivola inevitabilmente sulle difficoltà del lavoro che ci accomuna (le difficoltà che si incontrano nel cercar di farlo comprendere ed apprezzare), di idee, progetti ed aspirazioni. E, proprio quando il discorso si fa più serio e drammatico, Andrea se ne esce, improvvisamente, con una battuta tremendamente divertente, così da strapparmi, ancora una volta, delle irresistibili risate, per poi tornare, come niente fosse, a bomba, dove eravamo rimasti.
Concludendo, l’impegno che Andrea ha sempre profuso nell’attività e le indubbie doti grafiche, lo stanno giustamente premiando.           Gli auguro quindi che sempre più gli editori lo apprezzino, e tanta fortuna per la sua esilarante attività. Sei grande Andrea! Giovanni (Gio) Romanini (fumettista).

“UCCELLACCI e UCCELLINI”

Ho conosciuto Andrea Bersani in occasione della premiazione di un concorso di umorismo e satira a Campi di Bisenzio, un paese alle porte di Firenze, nel maggio del 2004. Ero stato chiamato nella giuria del premio, dall’amico Umberto Rossi, anch’egli disegnatore satirico, per dare il mio contributo nella scelta dei lavori (un centinaio e più di opere).
Ci mettemmo al lavoro. Ci passavamo le opere e ad ognuna davamo un voto su una scheda. Proseguivo il lavoro con impegno; ma senza che mi fossi entusiasmato più di tanto, finchè non mi capitò fra le mani un disegno. Mi colpì la cifra stilistica e grafica. Un disegno fuori dai canoni della vignetta classica. “Ci siamo”.
Dissi ad Umberto Rossi. “Guarda questo…”. Anche l’amico fu concorde con il mio giudizio. Battagliammo un po’ con il resto giuria che storceva il naso, come un cultore della pittura di Botticelli di fronte ad un quadro di Basquiat, ed ottenemmo per il disegno il secondo premio ex-equo. L’autore era Andrea Bersani.
Ci fu la premiazione e conobbi Andrea. Capelli lunghi, barba, aria riservata. Un personaggio, forse per il suo accento bolognese, che mi rimandava a certe atmosfere felsinee, fatte di canzoni di Guccini, immagini di Piazza Maggiore, DAMS, Wu Ming e il suo “54”. Forse luoghi comuni, ma l’impressione che ne ebbi fu questa. Ci siamo ritrovati un paio di anni dopo sulle pagine del settimanale di satira “Veleno”. Per me è stato un piacere.
“Uccellacci e Uccellini” perchè? Perchè come nel film di Pasolini , Andrea per illustrare i suoi pensieri caustici e taglienti, ha scelto due pennuti (lui li definisce aironi). Saccenti, indisponenti, irriverenti come il corvo del film, e sempre disegnati con quel tratto di classe di Andrea: “nervoso” e anarchicamente ordinato.
Eh sì, perchè Andrea, nella sua “follia” stilistica ha del metodo. Come ogni vero artista.

I met Andrea Bersani at the award ceremony of a competition of humor and satire in Campi Bisenzio, a village on the outskirts of Florence, in May 2004. I was called to the jury by a friend, Umberto Rossi, also a satirical cartoonist, to help in the selection of sketches (over a hundred).We set to work reviewing each entry and giving it a score. I continued working with commitment but without any particular enthusiasm until I found in my hands a work whose style and graphics made an immediate impact: a sketch that was in a class of its own compared to the classic cartoon.”Bulls Eye”, I said to Umberto Rossi. “Look at this ….”
My friend agreed with my judgment. We had to battle a little with the rest of the jury who turned up their noses, like aficionados of Botticelli faced with a painting by Basquiat, and we gained second place equal for the cartoon. The author was Andrea Bersani.
At the ceremony I was struck by his long hair, beard and reserved air. He was a character but perhaps this impression was shaped by his Bolognese accent that brought to mind a certain Felsinee atmosphere, with songs by Guccini, images of Piazza Maggiore, DAMS, Wu Ming and his “54”. Clichés perhaps, but this was the effect he had. We were brought together again a couple of years later in the pages of the weekly satirical “Veleno”.
For me it was a pleasure.
“Hawks and the Sparrows” why? Because as in the film by Pasolini, Andrea, to illustrate his sharp and caustic wit, chose two birds (he calls them herons): conceited, disagreeable, irreverent like the crow in the film, and always sketched with Andrea’s touch of class: “nervous” and anarchically ordered.
Yes, because in Andrea’s “madness” there is stylistic method, as for every true artista. Alfio Krancic (vignettista).

Conosco Andrea Bersani da una decina d’anni (mese più, mese meno) e seguo piuttosto da vicino la sua attività di graphic designer. Bene, posso senz’altro dire che il suo percorso nelle arti grafiche è uno dei più originali che sia dato vedere in un panorama spesso privo di stimoli innovativi e troppo succube delle leggi di mercato.
Prendiamo ad esempio una delle sue ultime creazioni: Gaster la chiocciola.
Basato su un segno minimalista e scandito in brevi sequenze autoconclusive,  il fumetto narra di un essere minimo che ragiona sui massimi sistemi,  ovvero che si pone dubbi sulla sua identità.
Un’identità che appare dapprima certa (e sicura), ma che viene via via scalfita ed erosa da considerazioni pertinenti e tragicamente inoppugnabili. Come un ironico Kierkegaard,  Gaster sta lì, nel suo quadratino a interrogarsi sul suo essere, sul suo destino,                      sul suo fine ultimo: la padella.
In perenne rivalità col suo parente povero, la lumaca, Gaster la chiocciola sente di non essere poi tanto “superiore”. Il come e perché è da scoprirsi un po’ alla volta, leggendo (e sogghignando) lungo il filo (bavoso) dei discorsi di una chiocciola. Oddone Ricci/Oddo (scrittore).

Andrea Bersani e’ un mio contemporaneo e concittadino, ma solo per finta. Lui viene da un altro mondo, da un’altra storia, da un’altra Emilia, da un’altra Italia, da un altro universo, che e’ quello descritto in queste pagine. Un mondo dove si va a piedi, non si sente il bisogno di correre, si scrive sulla carta, si disegna sul cartoncino, si stampano cose che prima ancora di avere una forma estetica hanno un loro odore, una loro sensazione al tatto, un loro suono quando vengono maneggiate o sfregate. Lui viene dalla vecchia scuola, da un’epoca in cui c’erano ancora gli “intellettuali” che costruivano ragionamenti con la stessa meticolosita’ impiegata dagli architetti per costruire le cattedrali, e non erano ancora stati rimpiazzati dai fenomeni sui social network che gonfiano il loro ego a colpi di tweet, misurando il numero di quanti li seguono e non il valore di quello che dicono. Ho incontrato Andrea sull’ inserto satirico di un grande quotidiano ormai chiuso, al quale collaboravamo entrambi, e dopo aver conosciuto le sue vignette ho scoperto con interesse la sua opera creativa, che si muove su piu’ fronti a cavallo tra satira, illustrazione, grafica e scrittura. Ad ogni nuovo incontro con lui scoprivo un personaggio nuovo: il vignettista, l’appassionato bibliofilo, il collezionista di riviste satiriche, il grafico “vecchia scuola” che conosce le macchine di stampa, l’esperto di cartotecnica, il comunicatore pubblicitario, e ancora oggi continua a sorprendermi come scrittore, come appassionato di pesca e come saggio osservatore della vita.Ed e’ proprio una lenta e serena osservazione il filo conduttore di questo libro, dove la pesca diventa uno strumento per meditare sulla vita e su quello che ci scorre attorno. Bersani diventa una guida turistica che ci permette di viaggiare nel tempo e nello spazio, scoprendo che chi usa ancora strumenti “analogici” come le matite o la canna da pesca non e’ necessariamente “arretrato” solo perche’ non sente il bisogno del “digitale” e prova il gusto di costruire le cose con le mani, senza l’interposizione di una tastiera o uno schermo. Forse siamo noi ad essere talmente “avanzati” da aver sbagliato direzione, intrappolati tra la rete e le sue bufale, tra la finta relazione delle reti “sociali” e l’alienazione informatica, incapaci di di armare una lenza, di pungerci con un’amo, di scivolare in un fiume, di esplorare i nostri quartieri e le nostre campagne. Leggendo queste pagine piene di memoria e di poesia, gli auspici si mischiano ai rimpianti. Si rimpiange un paese dove la scala sociale funzionava, dove era possibile affermarsi come commerciante grazie alle passioni e ai passatempi altrui, dove la spesa pubblica e il lavoro garantito dallo stato ungevano quel motore economico che agganciava le sue cinghie di trasmissione alle piccole botteghe di quartiere. Si rimpiange un periodo in cui si pensava alla pesca con la gioia di chi non e’ piu’ costretto a pensare alla fame, e dove ciascuno poteva essere libero di dedicare il suo tempo alle letture e alla coltivazione dei propri interessi, arrivando a specializzarsi talmente tanto da sapere praticamente tutto sul proprio particolarissimo settore di conoscenza. E assieme a questi rimpianti arriva l’auspicio che sulle macerie dei nostri tempi postmoderni possa prima o poi ritornare a fiorire quella serena e prolifica eta’ dell’oro vissuta nel secolo scorso, quando non c’era piu’ la guerra e non c’era ancora la finanza predatoria. E queste letture ci trasmettono la speranza che sia davvero possibile ritrovare il senso delle cose perdute, scrollandoci di dosso la paura dello spread, la frettolosita’ dell’internet, il cannibalismo sociale che spinge i lavoratori a sbranarsi fra di loro, con la gara al ribasso dei diritti dove chi ne ha di meno vuole toglierli a chi ne ha conservati un pochino di piu’, una macelleria sociale dove siamo al tempo stesso vittime e carnefici, lontana anni luce da quelle gite in autobus con l’attrezzatura da pesca sfoggiata con orgoglio, da quei treni con i sedili di legno, da quelle gite che si vivevano ancora come viaggi, senza immaginare l’avvento dei voli low-cost e dei mappamondi interattivi nel computer che hanno reso piu’ piccola la biglia azzurra che ci ospita, almeno nella nostra immaginazione.Ma non voglio ritardare oltre la vostra lettura, e vi invito a entrare senza indugi in questo mondo fatto di lambrette e personaggi pittoreschi, negozi di pesca ed ecosistemi scomparsi, tradizioni familiari e profumo di nostalgia, strade bolognesi e villaggi emiliani, fritture in riva al fiume e scuola pubblica d’altri tempi: il mio compito fin qui e’ stato quello di avvisarvi che Andrea Bersani e’ molto di piu’ del pescatore che si racconta in queste pagine, e in questo libro c’e’ molto di piu’ di una raccolta di storie sulla pesca. E adesso che lo sapete anche voi, spero che possiate apprezzare meglio quello che state per leggere, sapendo che non avete tra le mani un libro di un pescatore, ma il mondo segreto di un personaggio eclettico e creativo. Buon viaggio. Carlo Gubitosa (giornalista e scrittore).

One of the things that are in the arts evaluated very highly is the originality, uniqueness of thoughts, and in our case, of course, especially the artistic originality. And just these are the attributes which characterize the creative work of Andrea Bersani, a notable artist from the ancient center of European and world education – Italian Bologna. His style is so unique that we would easily recognize it even blindfolded.
This extraordinary artist created his own, unique graphic language that allows him to mediate to the spectator even the most complicated and pressing topics of today’s world in original and extremely impressive way. With his highly developed analytical and synthetic thinking and with his pure graphical feeling, he is able to input all disturbing stimuli from the external environment and transform them into specific visual logograms, which become the bearer of rich thought concentrate, the medium of philosophical and ethical information and of explicit human attitude.
Andrea Bersani still belongs to the old school of honest artists who still didn’t emigrate to the cyberworld, but they are still creating their artworks with their own hands, using classical art tools. His artworks often evoke in us the nostalgia of the good old woodcuts and linocuts; nevertheless, they always bring a new, fresh view of the world around us. His style – mainly in the field of visual humor, cartoons – is practically unprecedented and exceptional – his concept is unique and enormously rare.
Andrea Bersani is a lover of life, a connoisseur of art and nature. He is an extraordinarily sensitive artist, his works never lack ethical message – he is always in opposition to any evil; any form of lawlessness never let him sleep peacefully until he has not fighted against it effectively using his philosophical and artistic weapons.
Andrea Bersani has great respect for the traditional values, but he never hesitates to walk after the unbeaten paths, not dissimilar to the ancient discoverers of the new worlds, the seafarers looking boldly over the horizon and floating with fully tensioned sails towards unknown places and adventures, regardless of whether this will bring them fame or destruction. Even the way and search is the aim – Bersani’s creative effort brings us the pleasure of knowledge, experience of aesthetic and intellectual food of exceptionally delicious taste which promises to saturate our senses and thus usefully employ our thinking apparatus.
Andrea Bersani is an artist of distinct artistic opinion and bright creative program. If we would try to define his place within the global cartooning, we could say that his work certainly does not belong to the mass commercial mainstream; he is rather a highly valuable solitaire, whose contribution to the development of the cartoon genre can be considered very important and impossible to overlook. Karol Cizmazia (curatore Cartoon Gallery di Bratislava).

SIGH!NAL

Ironia del Segno nel Segno dell’Ironia

Nella mostra allestita presso lo spazio OPEN BOX del MAGI’900 Andrea Bersani, illustratore e umorista, sperimenta il confronto tra percorsi artistici e visivi differenti, mettendosi in gioco con sottile ironia anche come artista visivo. Con la mostra SIGH!NAL l’autore intende infatti presentare opere grafiche sul tema dell’alfabeto visivo, quadri polimaterici e oggetti tridimensionali, in un allestimento concepito per creare un cortocircuito tra i differenti percorsi di ricerca che in questo momento lo affascinano e, un po’ provocatoriamente, lo divertono. Lui stesso, con ironia e disincanto, li definisce «Differenti come dei piccoli convogli che, partendo dalla medesima stazione, solo quella hanno in comune, non la destinazione. Li accomuna la strada ferrata, che a tratti li condurrà paralleli nel loro viaggio, poi si allontanerà, per poi magari, ricongiungersi a scambiare itinerario, o ancora,  finire perché binario morto. » Saccheggiando liberamente citazioni dell’Astrazione lirica, del Dadaismo, del Surrealismo, Bersani ripropone l’inganno giocoso del ready-made rettificato, assembla oggetti trovati cercando piccoli strategici e tragici doppi sensi, dosa con calibrata attenzione grafismi eleganti e libere associazioni di idee. Un uovo di struzzo delicatamente deposto in un nido di filo spinato, segnaletiche “rubate”alla strada e reinterpretate, lettere danzanti un intreccio lieve di colori, invitano lo spettatore a lasciarsi prendere dal gioco, in un clima in cui la leggerezza esprime in realtà un senso critico di graffiante intelligenza.

Nella mostra allestita presso lo spazio OPEN BOX Andrea Bersani, illustratore e umorista di lunga data, sperimenta il confronto tra percorsi artistici e visivi differenti, presentandosi per la prima volta come artista visivo “puro”. Con la mostra SIGH!NAL, infatti, l’autore propone tre diversi percorsi, dominati da una comune vena di ambiguità percettiva e da una sapiente filigrana ironica, ma indipendenti per scelte linguistiche ed estetiche. Un allestimento concepito per creare un cortocircuito tra i differenti percorsi di ricerca che in questo momento lo affascinano e, un po’ provocatoriamente, lo divertono, ci guida nel mondo di un comunicatore per immagini in equilibrio instabile tra citazioni dadaiste di ready- made rettificati e voli calligrafici di orientale eleganza. Alle pareti, l’ampia ricerca sugli alfabeti, che esplora poeticamente il mondo del lettering, si contrappone per lievità ed eleganza esecutiva alla più materica rappresentazione degli alberi, dove foglioline di carta ed intrecci di silicone conferiscono consistenza tridimensionale e unicità ad una serie di rappresentazioni, che si propongono come variabili tattili sul tema iconico dell’albero radicato sul globo. Nello spazio, una serie di composizioni di oggetti trovati in giro si impone all’attenzione come un piccolo repertorio surreale, nel quale umorismo noir e dissacrazione giocano un’irriverente partita a individuare il senso inconsueto delle cose banali. Cosa avrà avvelenato la mente della piccola Biancaneve smemorata? Quale pulcino guerriero si cova da solo dentro un nido di filo spinato? Lavori in corso per cervelli sfuggenti, verrebbe da dire, di fronte a questi divertissements per bambini cresciuti e un po’ amari, ma pronti a non prendersi troppo sul serio. Lui stesso, con ironia e disincanto, li definisce «Differenti come dei piccoli convogli che, partendo dalla medesima stazione, solo quella hanno in comune, non la destinazione. Li accomuna la strada ferrata, che a tratti li condurrà paralleli nel loro viaggio, poi si allontanerà, per poi magari, ricongiungersi a scambiare itinerario, o ancora, finire perché binario morto. » Valeria Tassinari (curatrice del museo MAGI’900 di Pieve di Cento, Bologna).

CROMOFILE ALFANUMERICHE

Conosco Andrea Bersani dai tempi dell’Istituto d’Arte, primi anni ’70, in comune un insegnante come Pirro Cuniberti grafico (anche pubblicitario) e artista al contempo, giacché in tal modo si leggono le sue opere nella scia di Paul Klee; epperò al tempo una simile attitudine era stimata alla stessa stregua di un discutibile, se non immorale, ossimoro visivo. Per quel che mi riguarda ho finito per privilegiare il lato artistico serbando in salamoia ciò che di utile avevo appreso sia a livello grafico che formale – esperienza stigmatizzata come bifronte – infischiandomene del livore dei puristi. Inverso il cammino di Andrea incline a privilegiare il lettering, la grafica pubblicitaria, ma con l’arte sempre in agguato dietro l’angolo pronta a rivendicare le proprie ragioni sino a giungere alla briosa, enigmatica fabula grafico-cromatica dei giorni nostri.

Resta incomprensibile l’accennata riluttanza preventiva appurato che già artisti (rinascimentali) del calibro di Dürer e Cranach non disdegnarono d’occuparsi di lettering, di sigilli e loghi – coroncina e serpentello nel caso di Cranach – ragion per cui non occorre neanche rispolverare l’estasi stilizzate dei codici miniati, né i relativi intrecci celtici, né tantomeno le arabescate scritture mediorientali. Da sempre le frontiere, i confini mostrano un fascino più o meno evidente, artistico o naturale come il bagnasciuga non importa, che presto invita al tentativo di restare in bilico come funamboli sulla cresta dell’onda. Annaspare di qua e di là per poi riemergere, affannati, affinché pizzicare quanto di meglio hanno da offrire entrambi i versanti.

Aggiornando la prospettiva, a ben vedere lo stesso Wharol s’è formato in qualità di grafico, vetrinista persino, fertile retaggio che come un guscio protettivo l’artista si trascina appresso per l’intera carriera. Dopodiché, rovesciando quel tanto che basta la clessidra, come valutare la figura di Milton Glaser? Davvero, pare restrittivo relegarlo nella dimensione del mero grafico, a partire dagli studi sul tratteggio effettuati alla corte di Giorgio Morandi. A che pro dunque incaponirsi nel sovranismo estetico, nel rivendicare un’invalicabile linea Maginot tra l’Arte e la Grafica? Eppure c’è chi s’ostina a farlo persino, ahimè, nei contesti deputati all’insegnamento della cultura visiva, docente di pittura ne so qualcosa. Comprensibile invece come l’attitudine vocata all’ibrido venga salutata dagli adepti come un arricchimento ma è pur vero che così facendo, complice il dualismo di cui sopra, l’emarginazione incombe su di loro come una spada di Damocle poiché minori sono le occasioni espositive, per lo meno in Italia se ci si limita al circuito delle gallerie d’arte.

Mai disperare però, mai mollare giacché i lavori di Andrea – ironicamente ribattezzati Typopanting – si fanno ammirare per lo spirito cromaticamente festoso, pettegolo stavo per dire, per la vivace osmosi tra le macchie di colore che screziate si spandono e la perdurante attitudine calligrafica che cerca invano di non farsi ammorbare ma che poi – senza arrendersi definitivamente, fugando l’ombra del rimosso – si concede ai liquidi ghirigori galattici preservando, per quel che gli è consentito, un quid di tempra icastica ancorché tendenzialmente diafana. Ad onor del vero non c’è alcunché da leggere e, fate conto, le parate o le scoordinate, babeliche persino, orge alfanumeriche si trattengono in attesa di un detective capace di svelare, d’imbastire l’incombente dettato.

Diversamente dall’indole morigerata, cromaticamente francescana che ha improntato non poca poesia visiva nelle pagine di Andrea il respiro, l’alternarsi di pigmentati pieni e di superfici intonse – in breve, la forma fluens – non bandisce a priori l’opzione legata ad una anticartesiana eleganza formale, eleganza stigmatizzata come obsoleta dal mainstream artistico… ma già, scemo che sono, come si sente sempre più spesso dire, il fine dell’arte non è più contemplazione bensì comunicazione; epperò qui, vivaddio, entrambe le prospettive non mancano, e allora come si fa? Aprile 2019 – Bruno Benuzzi  (artista e docente di pittura).

PERCHE’ BERSANI E’ UN CANE

Lo è, in quanto cinico. Non ce n’è per nessuno nelle sue vignette, come è giusto che sia. Già dal titolo possiamo intuire di che materia crede sia fatto il mondo circostante. E i suoi abitanti.

Detto questo, basta. Parliamo d’altro. Bersani ha un’aria risorgimentale e guai a considerarlo un hipster di quelli che infestano, con i loro mustacchi ben stirati, le nostre abitudini. Per Bersani, ogni giorno è una delle Cinque Giornate e dalle sue barricate annota e strazia di segni ogni (cattiva) notizia gli giunga al cuore. Lui è un Pietro Micca, un Enrico Toti, senza patria e senza meriti se non le medaglie che da mezzo mondo gli tributano, selezionato a destra e a manca in rassegne della maledetta arte satirica.
Ma è proprio satira la sua?
Oh no, siamo tornati a parlare di quello che fa e non di quello che è…
Bersani lo vedi e subito capisci che ti sta squadrando: non ti sta guardando, no… lui ti squadra, ti prende le misure della bara che, solo lui, vede chiaramente circondarti le carnazze flaccide e destinate si sa bene a cosa. A quella putredine che lui vede ben chiara, a quella scoria di cui vede bene i contorni ha dato forma di segno. Anzi di segni. Moltissimi. Moltissimi segni. Ogni sua figura è un tormento di colpi di pennino, ogni anatomia è, con dovizia, straziata di precisissimi tratti, secchi come frustate.
ANCORA? Sono di nuovo tornato a parlare delle sue vignette…
Ma Bersani, dov’è? Chi è? Di lui non si può parlare se non parlando di quello che disegna e scrive, come di Micca non possiamo parlare se non della miccia corta con cui fregò i Francesi o della stampella di Toti, in faccia agli Austroungarici. Per il risorgimentale Bersani, il mondo è austriaco e ogni giorno è buono per la barricata, anche se è una barricata di carta e inchiostro.
Dal Dizionario Treccani:
“cìnico agg. e s. m. (f. -a) [dal lat. cynĭcus, gr. κυνικός, der. di κύων κυνός «cane»; propr. «canino, simile al cane, che imita il cane», per il dispregio che i cinici professavano per le istituzioni sociali e per le convenienze”.  Buona lettura. Bau. Giuseppe Palumbo (fumettista).

Confesso subito di non essere un pescatore e ricordo solo una timida e infruttuosa esperienza giovanile, con una canna da pesca basica e assai ribelle e un cugino (invece assai esperto) che mi voleva convincere a maneggiare vermi di vario tipo, infilzandoli nell’amo. Alla fine organizzai un’evasione in massa di poveri lombrichi dal barattolo, ispirandomi al mitico film “La grande fuga”. Ma la pesca mi ha sempre incuriosito e, ammettiamolo, amo i pesci, sia che nuotino liberi nel loro elemento, sia che galleggino in un brodetto o cucinati in tutte le possibili creazioni gastronomiche. E poi qualcuno che li peschi dovrà pur esserci!

Mi è quindi subito piaciuto vedere come, in questo divertente libro, Andrea Bersani abbia unito la passione del pescatore alla fine ironia con cui ha sempre caratterizzato la sua lunga attività di disegnatore umorista (attività peraltro da me condivisa). Pescare con amo ed esca infatti è uno sport, un hobby, una filosofia, un divertimento, un confronto con la Natura; con il tempo che scorre pigro come l’acqua di un fiume o resta immobile e pensoso come la superficie di un lago. Nel mare la pesca ha altri ritmi e modalità, ma indubbiamente ha sempre lo stesso fascino della preparazione, dell’attesa, dello svolgimento. Parafrasando la musica jazz, se in un fiume si pesca con un ritmo cool, in mare siamo a tempo di swing. D’altronde lo stesso Aristotele (che non mi è dato sapere se sia mai stato un pescatore) analizzava filosoficamente l’attività della pesca con la lenza o col tridente, alla ricerca di un cervellotico sillogismo tra l’arte dell’acquisire e l’arte del fare. Sono sicuro, però, che non si sia posto così tanti interrogativi di fronte a un buon piatto a base di pesce cucinato alla greca.

E’ inevitabile come tutto ciò finisca per offrire non poche occasioni di fare dell’umorismo. Tra pescatori si parla, si racconta, ci si scambia esperienze, si inventa, ma tra i pesci? Qualcuno ha mai pensato a come si vive l’esperienza della pesca dall’altra parte della superficie liquida in cui immergiamo il nostro amo e in cui ci specchiamo speranzosi di una preda? Preda che può essere un tenero pesciolino o un mostro degli abissi?

Qui il protagonista non è il solito e ormai tradizionale pescatore, soggetto più che sfruttato da schiere di umoristi in migliaia di vignette: il protagonista delle tavole di Andrea è un pesce, simpatico e arguto, che cerca di sopravvivere interagendo con i propri simili, ma anche zigzagando tra ami ed esche. Oppure sfuggendo a pesci più grandi di lui e di cui potrebbe essere il prossimo pasto, se questi non preferissero talvolta qualche bel verme appeso ad un amo.

Il rapporto tra il nostro pesciolino e le esche in fondo è conflittuale: a ben vedere, lombrichi e bigatti sono abbastanza disgustosi, ma ciò non toglie che facciano anche rima con appetitosi, almeno per gli appartenenti al mondo ittico. Una golosità che potrebbe essere fatale, quindi furbizia e attenzione sono doti indispensabili per la sopravvivenza.

Per il Minnow, che dà il titolo al libro, il discorso è diverso, essendo questa una terribile esca artificiale in legno e vari materiali, imitazione di un pescetto ambito dai predatori, ma che i pesci più furbi riconoscono subito. Ci sono talmente tante varietà di Minnow, con i loro colori, ami, piumette, materiali riflettenti e altro da diventare oggetto da collezione… forse anche per i pesci più scaltri, a decorazione delle loro tane.

Dunque il nostro pesce (tutt’altro che muto e invece piuttosto loquace), non si limita a sopravvivere, ma ci spiega confidenzialmente come sia difficile destreggiarsi sott’acqua, analizzando ogni aspetto psicologico della vita subacquea e spigolando tra spruzzi di considerazioni filosofiche e messaggi ecologisti. Bersani, infatti, dando voce al suo alter ego con le branchie, non perde occasione per cogliere tutti gli aspetti più divertenti di un mondo che conosce ed immagina molto bene. Potrete mai buttare una lenza, voi pescatori, senza pensare a quanto raccontato dal nostro amico pinnato?

Non so se Bersani sia un pescatore abitualmente fortunato, ma sicuramente è un grande esperto di tutto ciò che concerne la pesca; in fondo è vignettista, illustratore e grafico pubblicitario di lunga esperienza, quindi è dedito da sempre a gettare l’amo nel mondo che lo circonda, pescando ispirazione in quantità. Da qui nascono idee che sa cucinare abilmente ad arte a colpi d’inchiostro, grazie al suo stile personale ed efficace, condendole con la saporita salsa dell’umorismo.  Marco De Angelis (vignettista).

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                                 

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